Oggi parliamo di problematiche agli ischiocrurali nel calcio di alto livello.
La rubrica ePhysio propone un articolo redatto dal fisioterapista dell’Atalanta B.C : MARCELLO GINAMI (ben 13 stagioni nel calcio che conta!!!) che ringrazio personalmente per la disponibilità e per la professionalità.
L’articolo in questione mostra l’intervento del fisioterapista sul campo e non. Ritengo che il lavoro proposto sia fatto molto bene e mostri con professionalità l’intervento preventivo del fisioterapista sulle lesioni agli ischiocrurali, non solo nel mondo del calcio ma in tutti gli sport che presentano problematiche a questo gruppo muscolare. Giovanna Malchiodi Albedi.
Nella pratica quotidiana del fisioterapista che lavora nell’ ambito dello sport, e in particolare degli sport dove gli sprint costituiscono una delle attività più frequenti, le lesioni ai muscoli della loggia posteriore della coscia costituiscono spesso uno dei problemi più rilevanti .
Questo tipo di infortunio causa spesso la perdita di molti giorni di allenamento (e naturalmente di impegni agonistici ufficiali), inoltre il processo riabilitativo è sovente molto difficile perché le richieste di accorciamento dei tempi portate avanti dai tecnici , mal si sposano con il rischio di ricadute e di complicanze (ad esempio cattive cicatrizzazioni , fibrosi o insorgenza di problemi cronici tipo hamstring syndrome).
In letteratura esistono molti saggi e molte pubblicazioni che si occupano in primis di anatomia e fisiologia del distretto muscolare in questione , ed altrettanti studi che illustrano le tappe del processo riabilitativo e di riatletizzazione.
Non altrettanto accade per il settore preventivo , in particolare per quello riguardante il lavoro del fisioterapista , nella sua parte più legata ad attività di terapia manuale.
Ho pensato quindi di riassumere in questo articolo ciò che l’esperienza pluriennale in campo fisioterapico e in campo sportivo , mi ha insegnato , sperando possa essere d’aiuto ai colleghi che si trovano ad affrontare i miei medesimi problemi.
Come detto prima, anatomia e fisiologia dei muscoli della loggia posteriore della coscia, sono state analizzate in modo particolareggiato da diversi studi , ai quali vi rimando. Ricordo semplicemente che si tratta di un distretto corporeo di notevole complessità , anatomicamente parlando , e dal punto di vista biomeccanico , in quanto molto sollecitato nelle attività che richiedono spostamenti veloci , e repentine contrazioni muscolari.
Per facilitare la comprensione degli esercizi che poi vedremo , mi limiterei a ricordare qualche particolarità.
Il bicipite femorale , è composto da due distinte strutture :
– il capo lungo che è bi-articolare , in quanto la sua inserzione prossimale avviene a livello della tuberosità ischiatica, ed è innervato dal Nervo Tibiale.
– il capo breve che è mono-articolare ( inserzione lungo la linea aspra , molto delicata e spesso causa di problemi di difficile individuazione ) , ed è innervato dal Nervo Peroneo Comune.
Questo muscolo ha più spesso problemi che insorgono in fase di spinta durante uno scatto.
Il semimembranoso ed il semitendinoso , entrambi bi-articolari, la cui contrazione ha anche una componente di adduzione ed intra rotazione della coscia, e di intrarotazione della gamba a ginocchio flesso.
Questi due muscoli (in particolare il primo) hanno più spesso problemi in catena cinetica aperta ( calcio a vuoto , estensione forzata del ginocchio con coscia flessa).
L’obiettivo ultimo degli esercizi che andrò a proporre è quello di permettere all’atleta di conseguire un condizionamento , il più possibile intenso e pratico , all’esecuzione di contrazioni eccentriche. È infatti appurato che sia proprio questo tipo di contrazione a causare , nella stragrande maggioranza dei casi , lesioni muscolari più o meno gravi.
Per quanto riguarda i suddetti esercizi , preferisco non indicare il numero di serie e di ripetizioni da effettuare, perché sono parametri molto dipendenti da : – abitudine all’esecuzione dell’esercizio (sia dell’atleta che del terapista).
-livello generale di fitness dell’atleta.
-livello specifico di condizionamento della loggia muscolare in questione.
-storia clinica dell’atleta ( in particolare riguardo a pregresse patologie nella zona interessata da questo articolo ).
Indicativamente si può parlare di un numero di ripetizioni variabile tra 4 e 10, partendo anche da una sola serie per arto.
La progressione di carico , e gli adattamenti al livello del singolo atleta , vanno portati avanti seguendo l’ esperienza quotidiana , la sensazione di lavoro effettivo , e naturalmente la familiarità con lo specifico esercizio , sia da parte dell’atleta che da parte del terapista ( non dimentichiamo che si tratta di un lavoro impegnativo anche per lui ).
ATTIVITÀ DI RISCALDAMENTO SPECIFICO
Ho scritto “specifico” perché prima di arrivare sul lettino fisioterapico, a svolgere questi due esercizi , sarebbe bene che l’atleta svolgesse un breve riscaldamento generale di tipo aerobico, comprendente anche una blanda mobilizzazione distrettuale.
Esercizio 1 – Indicazioni -Terapista : con la mano destra tiene l’arto inferiore sinistro dell’atleta appoggiato al proprio busto , impugnandolo nella zona poplitea. Con la mano sinistra , fa compiere delle estensioni del ginocchio all’atleta. L’intensità si può regolare modulando velocità del movimento , e grado di flessione della coscia sul bacino (maggiore flessione = maggiore tensionamento degli ischio-crurali ). Va comunque considerato un esercizio introduttivo , quindi da non eseguire in modo troppo forzato.
– Atleta : disteso sul lettino in decubito supino , rilassato e attento unicamente a non eseguire movimenti di compenso (aumento lordosi lombare , contrazioni isometriche dei muscoli dell’arto controlaterale). Unica indicazione , al momento del raggiungimento della completa estensione del ginocchio , contrarre il quadricipite , per fare in modo che , grazie al riflesso di innervazione reciproca di Sherrington , non si inneschi il riflesso miotatico inverso ( che porterebbe a limitare l’allungamento della loggia muscolare in questione )
Esercizio 2 – Indicazioni -Terapista : posto a fianco del lettino , pone sul lettino stesso il proprio ginocchio destro flesso , allo scopo di sostenere il ginocchio dell’atleta. Con entrambe le mani afferra i muscoli della loggia posteriore della coscia , trazionando blandamente verso l’alto . La presa , va variata scivolando lungo tutto il decorso del muscolo. L’esperienza e le conoscenze di anatomia palpatoria , permetteranno di saper individuare i diversi ventri muscolari , e le diverse inserzioni (distali e prossimali), per poter meglio focalizzare l’azione di “liberazione miofasciale”.
– Atleta : posto in decubito laterale sul fianco destro , deve unicamente effettuare delle lente flesso estensioni del ginocchio , per consentire alle dita del terapista di apprezzare e facilitare lo scorrimento delle fibre muscolari.
ESERCIZI SPECIFICI PREVENTIVI CON CONTRAZIONE ECCENTRICA
Esercizio 3 – Indicazioni -Terapista : posto a fianco del lettino, pone la mano sinistra a livello della parte posteriore dell’emibacino sinistro dell’atleta, con il compito di fissare il bacino , e impugna con la mano destra il tallone sinistro dell’atleta. Mentre l’atleta , con il ginocchio flesso a 90 gradi contrae i muscoli ischio-crurali con una forza moderata ( approssimativamente il 50% del proprio massimale ), il terapista ,contrastando e vincendo questa resistenza, porta il ginocchio in completa estensione. Una volta raggiunto il “fine corsa”, l’atleta si decontrae totalmente , e il terapista riporta l’arto alla posizione di partenza.
È molto importante che al termine del movimento , il piede vada oltre il bordo del lettino , poiché se ciò non avviene , non è possibile raggiungere la totale estensione.
Per concentrare il movimento maggiormente sul bicipite , la mano che impugna il tallone può mantenere il piede modicamente intraruotato. Viceversa per accentuare l’attivazione di semitendinoso e semimembranoso, il piede deve essere extraruotato.
– Atleta : posto in decubito prono , con le mani possibilmente aggrappate alle gambe del lettino. Deve , contraendo i muscoli della loggia posteriore della coscia, contrastare la spinta del terapista verso l’estensione del ginocchio , permettendogli di effettuare il movimento solamente a velocità moderata. Importante non sollevare il bacino dal lettino. Altrettanto importante imparare a dosare la propria resistenza , facendo in modo da ottenere una contrazione eccentrica il più fluida ed omogenea possibile.
Questo esercizio impegna maggiormente la metà distale dei muscoli in questione, e le relative giunzioni miotendinee.
-Atleta : seduto sul bordo del lettino , con ginocchia flesse a 90 gradi . Mani che afferrano il bordo laterale del lettino (bilateralmente) all’altezza grossomodo del gran trocantere , contrae i muscoli in questione , con una forza moderata e comunque modulabile in base al grado di educazione all’esercizio in questione ed agli obiettivi che si perseguono , opponendosi alla trazione del terapista , che deve poter ottenere una lenta estensione del ginocchio. Importante non sollevare il bacino , nè muovere l’arto controlaterale. Il ritorno alla posizione iniziale ( ginocchio flesso a 90 gradi , va ottenuto in totale decontrazione , con l’accompagnamento del terapista )
Per accentuare l’efficacia dell’esercizio , il busto va tenuto perpendicolare alla superficie del lettino , o addirittura lievemente sbilanciato in avanti.
Per ovviare allo svantaggio a livello di leva , e alla maggior forza che può così esprimere l’atleta , il terapista dovrebbe applicare la forza necessaria , utilizzando non solo l’arto superiore , ma spostandosi avanti e indietro con l’intero corpo.
-Atleta : posto in decubito supino , arto inferiore destro appoggiato sul lettino , arto inferiore sinistro impugnato dal terapista che lo tiene in flessione coxo-femorale di circa 40 gradi. Contrae i muscoli della loggia posteriore della coscia sinistra , spingendo quindi verso il basso , con intensità moderata , resistendo alla controspinta del terapista , ma permettendogli di aumentare il grado di flessione dell’anca fino a circa 90 gradi. Una volta giunti alla fine del movimento , decontrarre la muscolatura , e tornare alla posizione iniziale solo grazie all’accompagnamento della mano del terapista. Importante non staccare dal lettino nè il bacino , nè l’altro arto inferiore . Attenzione a non accentuare la lordosi lombare.
Indicazioni. -Terapista : posto di fianco al lettino , pone la mano sinistra sulla Spina Iliaca Antero Superiore sinistra dell’atleta , posto in decubito laterale sul fianco destro. La mano destra impugna il calcagno del piede sinistro dell’atleta , e vincendo la sua resistenza , lo tira verso di sè , provocando una flessione della coxo-femorale , avvicinandosi il più possibile ai 90 gradi.
-Atleta : posto in decubito laterale sul fianco destro. Arto inferiore destro poggiato al lettino (a ginocchio esteso) , ed arto inferiore sinistro ad esso sovrapposto. Contrae i muscoli della loggia posteriore della coscia sinistra , per contrastare la trazione effettuata dal terapista , permettendogli solamente una lenta flessione della coxo – femorale. Importante non effettuare movimenti di compenso con bacino e zona lombare , nè muovere l’arto inferiore destro.
Per qualsiasi dubbio o domanda cercateci anche su Facebook.
Fisioterapista presso Atalanta B.C.
Consulente esterno recupero atleti infortunati campionati 2001-2002 e 2002-2003
Fisioterapista prima squadra Campionati 2003-2004 2004-2005 2005-2006 2006-2007 2007-2008 2008-2009 2009-2010 2010-2011 2011-2012 2012-2013 2013-2014
Utilizzo tecniche di terapia manuale, terapia strumentale, taping funzionale e chinesiologico, pronto soccorso sul campo, riatletizzazione.
Esperienza pluriennale di assistenza quotidiana a sportivi professionisti, con responsabilità tecniche e logistico-organizzative
Ad oggi (5-12-2013) 440 presenze in panchina in partite ufficiali (serie A ,serie B, Coppa Italia)
seguici sulla nostra pagina
Abbiamo parlato della classificazione delle tendiniti a livello rotuleo, di seguito vi propongo in modo molto schematico, alcuni consigli da utilizzare in palestra.
Ricordiamo che per fornire un trattamento adeguato, risulta fondamentale partire da una diagnosi corretta. Vi prego quindi di non improvvisarvi medici o fisioterapisti, ma utilizzare la tabella unicamente per capire qual’è l’approccio terapeutico migliore.
la prima parta dell’articolo la puoi trovare qui
seguici sulla nostra pagina
I traumi a danno delle articolazioni interfalangee di tutte le dita, risultano frequenti soprattutto negli sport di contatto (Judo, Lotta) ed in quelli in cui i giocatori subiscono traumi a terra o contro l’attrezzo (Volley, Basket, Calcio..). Le lesioni solitamente sollecitano la struttura capsulo- legamentosa nella regione laterale, provocando saltuariamente delle lesioni del collaterale. Nei casi più rari vi saranno avulsioni del punto di inserzione sull’osso.
La lesione della capsula (dorsale o palmare) risulterà invece rara in quanto i tendini estensioni e flessori fungono da barriera dinamica. Spesso il bendaggio di queste articolazioni viene fatto in modo approssimativo. Di seguito mostriamo come effettuare un taping in modo da ridurre il rischio di recidive.
Se escludiamo il primo dito (pollice), possiamo infatti paragonare le restanti dita sia per il tipo di tecnica di immobilizzazione sia per le possibili lesioni a carico dell’articolazione.
In base al livello di gravità del trauma, possiamo stabilizzare il dito in modo più o meno efficace.
Materiale occorrente: Taping – Nastro Anaelastico – 1 cm.
Per comprendere meglio la tecnica di bendaggio, vi consigliamo di guardare il video.
2 TIRANTI LATERALI: Posizionare i primi due tiranti nelle regioni laterali del dito (sovrapposti ai due collaterali). Il tape verrà attaccato in direzione cranio – caudale ovvero partendo dalla regione più vicino alla testa, per avvicinarsi poi alle estremità delle dita.
4 TIRANTI CROCIATI (Due per parte): Andranno a posizionarsi sul fulcro del movimento di flesso – estensione. Il loro obiettivo sarà rinforzare la capsula sul rato radiale.
2 TIRANTI OBLIQUI: il primo tirante verrà posizionato a livello della parte prossimale della falange, il secondo sulla regione distale. L’obiettivo principale di questi tiranti sarà quello di ancorare quelli posizionati precedentemente.
Il bendaggio fino ad ora effettuato inibirà in minima misura la flessione la andrà a rinforzare la capsula ed il legamento collaterale. Qualora volessimo incrementare ulteriormente la stabilità, proseguiremo nel seguente modo:
4) 1 RINFORZO: Avvolgere il tape in modo circolare intorno all’articolazione limitando in questo modo il movimento di flessione.
5) (2) ANCORAGGIO ALL’ALTRO DITO: Per incrementare ulteriormente la stabilità del bendaggio, possiamo ancorare il dito a quello vicino. In questo caso ridurremo notevolmente la funzione globale del dito.
Fisioterapista Giovanna Malchiodi
Nata l’ 11 Aprile 1986 a Milano.
Socio, CEO di Preparazione Fisica Education, responsabile della sezione ePhysio.
Fisioterapista presso la società Igor Gorgonzola Novara (Pallavolo serie A) e presso Novara Baseball (categoria IBL1).
Svolge attività di libera professione presso la società iPhysio di cui è titolare.
Laureata in Fisioterapia presso l’Università Amedeo Avogadro di Novara.
Laureanda in Scienze Motorie e Sport presso l’Università S. Raffaele di Milano
Giovanna sarà anche presente nel Clinic di Novara Martedì 21 Gennaio
Facebook Evento: qui
seguici sulla nostra pagina
seguici sulla nostra pagina
La tendinite rotulea è la patologia più frequente tra le sindromi da sovraccarico degli atleti che praticano sport di salto (soprattutto volley, basket) di corsa (atletica leggera) o con brusche frenate e accelerazioni come il Tennis.
Il dolore solitamente è localizzato a livello dell’inserzione del polo inferiore della rotula anche se saltuariamente i sintomi possono presentarsi sull’inserzione distale del tendine (in prossimità del tubercolo tibiale) o sul tendine quarticipitale (nel punto di inserzione sul polo prossimale della rotula) (Immagine da: Brotzman – Riabilitazione in ortopedia).
L’esordio della patologia è solitamente subdolo: il dolore si scatena solitamente durante attività ripetute di salto o corsa e sparisce dopo un breve periodo di riposo. Solitamente si ripresenta alla ripresa dell’attività.
Durante ogni allenamento, le continue sollecitazioni sul tendine dovute alla ripetizione del gesto sportivo, procurano microtraumi al tendine. Qualora i carichi di lavoro fossero eccessivi, il soggetto fosse predisposto o i tempi di recupero non fossero adeguati, potrebbero insorgere patologie a carico del tendine rotuleo. Da monitorare anche la superficie di gioco: superfici dure sembrano essere correlate ad un aumento dell’incidenza della sintomatologia.
Qualora si presentasse un dolore di questo tipo a livello del ginocchio, è indispensabile intervenire subito con l’obiettivo di evitare inutili complicazioni.
Nel 1973, Blazina e collaboratori, hanno proposto una classificazione delle tendiniti.
L’obiettivo della classificazione proposta, è formulare un adeguato piano di trattamento.
Per chi lavora in palestra, osservare la classificazione, permetterà di capire immediatamente qual’è il livello di gravità del problema in modo da intervenire nel modo più adatto.
Solo gli atleti nelle fasi 1 e 2 rispondono bene al trattamento conservativo, a differenza di quelli nella fase 3 che hanno una risposta variabile e quelli in fase 4 che sono solitamente destinati all’intervento chirurgico.
Abbiamo visto la classica classificazione delle tendiniti, ma qual’è l’intervento sul campo?
Di seguito vi propongo un modo molto schematico, alcuni consigli da utilizzare in palestra. Ricordiamo che per fornire un trattamento adeguato, risulta fondamentale partire da una diagnosi corretta. Vi prego quindi di non improvvisarvi medici o fisioterapisti, ma utilizzare la tabella unicamente per capire qual’è l’approccio terapeutico migliore.
Fisioterapista Giovanna Malchiodi
Nata l’ 11 Aprile 1986 a Milano.
Socio, CEO di Preparazione Fisica Education, responsabile della sezione ePhysio.
Fisioterapista presso la società Igor Gorgonzola Novara (Pallavolo serie A) e presso Novara Baseball (categoria IBL1).
Svolge attività di libera professione presso la società iPhysio di cui è titolare.
Laureata in Fisioterapia presso l’Università Amedeo Avogadro di Novara.
Laureanda in Scienze Motorie e Sport presso l’Università S. Raffaele di Milano.
Parleremo di Prevenzione e Potenziamento anche nel Clinic di Novara Martedì 21 Gennaio
Facebook Evento: qui
Alzi la mano chi non ha mai avuto un trauma alla caviglia?!
Giovani e meno giovani, sportivi e non sportivi, chi non ha avuto una distorsione?
Ho deciso di aprire la rubrica ePhysio analizzando il trauma distorsivo alla caviglia, uno degli eventi più frequenti in chi pratica attività fisica a qualsiasi livello.
Le distorsioni alla caviglia rappresentano circa il 10 – 30 % di tutte le lesioni da sport; le frequenza aumenteranno negli sport di situazione e negli sport che richiedono salti (volley, basket, calcio, danza).
Uno studio Australiano del 2005, pubblicato sulla rivista Sport Medicine ed effettuato su sportivi con lesioni alla caviglia, ha mostrato che nella maggior parte dei soggetti, i sintomi derivanti dal trauma (dolore in primis), persistevano per più di due anni dall’infortunio stesso qualora i soggetti non avessero effettuato un programma adeguato di fisioterapia e di riatletizzazione.
Questo spiega l’importanza nel fornire programmi sport – specifici di prevenzione e soprattutto del tempestivo intervento sui traumi a livello della caviglia.
In ambito sportivo le distorsioni deriveranno prevalentemente da:
—> contatto diretto con l’avversario;
—> ricadute dopo i salti.
La distorsione è definita come una lesione capsulo – legamentosa di varia gravità, ma senza perdita dei reciproci rapporti tra i capi articolari.
Le distorsioni della tibiotarsica possono coinvolgere:
comparto legamentoso mediale (legamento collaterale mediale, legamento deltoideo): trauma per una sollecitazione forzata in valgismo e pronazione del piede.
il comparto legamento laterale (legamento collaterale laterale, legamento tibioperoneale anteriore e posteriore): trauma da sollecitazioni in varismo del piede.
La lesione potrà consistere nella sola distrazione della capsula e dei legamenti (distorsioni di primo grado) o in una loro totale o parziale lacerazione (distorsioni di 2° e 3° grado).
(Riferimento immagine: Brotzmann – Riabilitazione in Ortopedia)
La maggior parte delle lesioni alla caviglia (quasi il 90%) coinvolgono le strutture capsulo – legamentose. Nel grafico sottostante mostriamo l’incidenza dei vari traumi in ambito sportivo.
A livello medico, possiamo suddividere le distorsioni con meccanismo in inversione, in tre gradi:
* I grado: lesione parziale del Legamento Peroneo Astragalico Anteriore;
* II grado: lesione del Legamento Peroneo Astragalico Anteriore e Peroneo Calcaneare;
* III grado: lesione di LPAA, LPC, Legamento Peroneo Astragalico Posteriore ed ventualemnte del legamento Interosseo.
L’evento distorsivo è dovuto a forze esterne che sovraccaricano le strutture osteo – legamentose deputate alla stabilità articolare inoltre è necessario ricordare che il piede è una delle regioni del corpo che fornisce il maggior numero di informazioni propriocettive, al danno anatomico si affiancheranno quindi problematiche di tipo recettoriale. La coscienza soggettiva della posizione spaziale statica e dinamica della gamba sarà infatti danneggiata in seguito al trauma: qualora il trattamento non fosse adeguato, ci imbattetemo in un fenomeno di instabilità funzionale della caviglia predisponente ad ulteriori recidive.
Sarà obiettivo primario del fisioterapista, dell’allenatore e del preparatore atletico, cercare di prevenire il trauma distorsivo, e nel caso in cui dovesse verificarsi il trauma, intervenire il più correttamente e precocemente possibile prevenendo l’insorgenza di instabilità funzionale e di conseguenti altri traumi.
Il nostro intervento risulterà fondamentale in quanto la maggior parte dei pazienti recupera completamente, ma nel 20-40% circa compaiono dolore ed instabilità cronica.
La prevenzione potrà essere di tipo Primario o Secondario.
La prima avrà l’obiettivo di impedire che un trauma avvenga e di minimizzare al massimo i fattori di rischio; la prevenzione secondaria avrà invece l’obiettivo di evitare recidive ovvero far si che, in un soggetto che ha già subito un trauma, non si ripeta.
Abbiamo parlato dell’importanza di fornire un lavoro specifico che vada a minimizzare i fattori di rischio, ma come possiamo intervenire?
Quando parliamo di prevenzione per l’articolazione tibiotarsica dobbiamo ricordare che la caviglia non è un articolazione “a se” ma è in stretta connessione con altre articolazioni, prima fra tutte quella del ginocchio. Il lavoro preventivo avrà quindi molti punti in comune con il lavoro per altre patologie dell’arto inferiore, in modo particolare al complesso articolare del ginocchio.
fornire un warming up adeguato: ogni allenamento dovrà iniziare con un riscaldamento che coinvolga tutte le articolazioni;
proporre esercizi di mobilizzazione e stretching: sarà utile effettuare durante il riscaldamento degli esercizi di mobilizzazione dell’articolazione tibiotarsica: dorsiflettere, plantiflettere il piede ed effettuare delle circonduzioni in entrambe le direzioni permetterà di iniziare l’allenamento nel modo migliore. Al termine della seduta ricordarsi di effettuare esercizi di stretching per i muscoli del polpaccio. Lo stretching dovrà durare almeno 20 secondi e dovrà essere effettuato bilateralmente. Qualora l’allenamento proposto abbia previsto esercitazioni di corsa e salto, consigliamo di svolgere l’esercizio per almeno tre volte.
utilizzare calzature idonee: svolgere degli allenamenti con calzature inadatte potrebbe aumentare il rischio d’infortunio. Evitare calzature con suola troppo bassa o che non forniscano un sostegno adeguato all’arco plantare.
valutare la biomeccanica della camminata, proporre eventualmente l’utilizzo di plantari specifici. A volte è sufficiente osservare l’usura della suola delle scarpe, per capire se l’appoggio del piede è corretto oppure no. In alcuni casi l’utilizzo di un plantare specifico potrà prevenire patologie da sovraccarico (es. fratture da stress e problematiche al tendine d’Achille) e problematiche traumatiche (es. distorsioni alla caviglia).
fornire adeguati tempi di recupero: monitorare il numero di salti proposti durante il singolo allenamento e nella programmazione giornaliera e settimanale, andrà a prevenire problematiche di sovraccarico a tutte le articolazioni della caviglia.
correzione del gesto tecnico: abbiamo detto che tra le cause di traumi distorsivi troviamo le ricadute dai salti. Osserviamo i nostri atleti ed insegniamo loro a ricadere dai salti in forma bipodalica.
controllo del peso: i chili di troppo aumentano le sollecitazioni a livello articolare; monitorare il peso degli atleti può evitare che una distorsione di grado lieve, diventi di grado elevato.
potenziamento muscolare selettivo: proporre un potenziamento concentrico ed eccentrico dei muscoli peronei, tibiale anteriore e posteriore e del tricipite surale, permetterà di muoverci meglio riducendo il rischio di lesioni.
realizzazione di bendaggi funzionali preventivi: da valutare con il fisioterapista.
esercizi propriocettivi: proporre esercizi con l’utilizzo di bosu e tavolette propriocettive ma anche a corpo libero,..
Abbiamo visto quali sono i fattori su cui possiamo intervenire per evitare traumi distorsivi alla caviglia, risulta però fondamentale ricordarsi che negli sportivi è indispensabile fornire anche un lavoro specifico di riatletizzazione proposto con l’obiettivo di evitare recidive.
Nei prossimi articoli vedremo come INTERVENIRE SUL CAMPO :
Qual’è il primo intervento da effettuare in caso di trauma distorsivo?
Come fare un bendaggio compressivo?
Propriocettiva.. come proporla?
Cos’è un bendaggio funzionale?
Continuate a seguirci e lo scopriremo..
Fisioterapista Giovanna Malchiodi
Nata l’ 11 Aprile 1986 a Milano.
Socio, CEO di Preparazione Fisica Education, responsabile della sezione ePhysio.
Fisioterapista presso la società Igor Gorgonzola Novara (Pallavolo serie A) e presso Novara Baseball (categoria IBL1).
Svolge attività di libera professione presso la società iPhysio di cui è titolare.
Laureata in Fisioterapia presso l’Università Amedeo Avogadro di Novara.
Laureanda in Scienze Motorie e Sport presso l’Università S. Raffaele di Milano.